L'Ippopotamo


Tra la leggerezza della bimba saltellante e la pesantezza del pachiderma inerme potrei ben collocare la mia persona.
E mentre mi appoggio alla transenna a richiamare l’animale, quasi a svegliarlo dal suo essere assonnato, mi immagino che cosa sia la pesantezza delle nostre realtà umane, senza lo spirito di quella fanciulla ranocchia accanto a me, che ancora balza e non si stanca, e canta e sorride.
Essere allo zoo senza di lei, che senso avrebbe?
Lei ti rende leggero l’animo, la mente e il cuore; e anche l’ippopotamo sembra quasi volare tra le nuvole, contagiato dalla sua leggerezza.
Rimango a contemplare un po’ questa bella atmosfera, creata da un semplice sorriso e da niente di fatto in più, se non una presenza, che con i suoi pregi e i suoi limiti, regala a questo zoo e a quello della vita la sua umanità: sì, umanità.
A volte, in disumanità, abbiam più peso noi dell’ippopotamo.
“Guarda, si muove verso di noi – e richiamo la bambina – vieni!”
“Eh, sì…ha visto il biscotto che gli ho gettato qui sotto…” mi risponde lei.
“Non si gettano biscotti agli animali!...”
Poi, pensandoci bene…
“Brava! Hai visto come una rana è riuscita a far muovere un ippopotamo?”.
 
Non è questione del piccolo o del grande nelle nostre relazioni.
Né del più o meno forte.
E’ quello che poniamo tra noi che fa muovere o allontanare le relazioni.
L’ippopotamo, intanto, spalanca a tutto spiano la bocca, a mo’ di estremo sbadiglio; e anch’io, contagiato, sbadiglio.
Sono anche un po’ stanchino.
Ma ammirando la bimba vivace subito mi riprendo,
e riprendiamo il cammino.
 
Il contagio.
Questa grande impossibilità a procedere.
Questa grande possibilità a riprenderci.
Non restare all’ippopotamo.
Segui la rana.