Cari lettori,
questa favola si ispira
a una storia Vera!!!
Bloccandoci per l’Autostrada,
ci fecero transitare
sulla circonvallazione,
intravedendo
dal fondo questa situazione,
e regalandoci
indirettamente l’ispirazione...
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“Oggi non è che un giorno qualunque
di tutti i giorni che verranno,
di tutti i giorni che verranno,
ma ciò che farai
in tutti i giorni che verranno
in tutti i giorni che verranno
dipende da quello che farai oggi.”
HEMINGWAY
Introduzione
Andare allo zoo con lo sguardo di una bimba significa sorridere, sempre e comunque, al di sopra di ogni regola e al di là di ogni sospetto.
Alla base del sorriso di una bimba allo zoo c’è quell’istinto di base non ancora contaminato dallo zoo fuori dallo zoo: il nostro mondo.
E ti accorgi allora che non sei tu ad
accompagnare lei, ma è lei che ti accompagna,
ti tiene per mano per un po’, ti sfugge via,
affascinata ora qua e ora là, e poi ritorna
a te, a ricreare quel sorriso oggi tanto
incompreso e dimenticato, e del quale
abbiamo un urgente ed estremo bisogno
per essere liberati dalle nostre gabbie
quotidiane, invisibili, ma potenti, e che ci
rendono sempre più prepotenti a noi stessi e
incapaci di sorridere a questa nostra fragile
e fugace vita.
Lo zoo...che a noi rappresenta e ci ripresenta
la bellezza della nostra fragilità, chiusa
negli schemi della logica e nel rifiuto di ciò
che sta oltre i nostri sensi.
E non avrebbe senso andarci, in effetti,
se non con l’ausilio e il supporto del nostro
viaggio: questa piccola bimba, che sorridendo
trasforma l’atmosfera del già noto e del
dato di fatto in un’avventura nel mondo
dell’ignoto, per far risorgere dal nostro
istinto animalesco lo spirito della bellezza,
fatto di umiltà, semplicità, naturalezza, e
soprattutto: sorriso.
Ed eccolà là, già pronta e ardente di
gioia, all’ingresso, a richiamare me e voi a
visitare, finalmente, la meta tanto attesa e
desiderata…
Eccoci, eccoci…Arriviamo!…
Alla Biglietteria
Mentre mi accingo ad acquistare i biglietti,
lei mi richiama strattonandomi per la camicia:
“Guarda che io non posso entrare…”
e io subito la interrompo: “Come non puoi
entrare? Non vedi che prendo i biglietti?...”
e termino l’operazione, incamminandomi
verso la sbarra dell’entrata.
Ma lei si è fermata indietro, e quando
la richiamo, ammutolisce il suo sorriso e
mi guarda con occhi tremolanti.
“Che c’è? Cos’hai?...” e con la mano la invito a procedere.
“Che c’è? Cos’hai?...” e con la mano la invito a procedere.
Ma lei, lì, ferma, quasi bloccata, un po’ tra
l’incantata e l’incatenata, e non si muove.
Torno suoi miei passi, mi chino verso di lei:
“Qual è il problema? Non sei contenta di essere qui? Non ci tenevi tanto a venire?...E adesso, che fai?...”.
E lei, facendo rinascere pian piano il sorriso, sussurra: “Guarda che io non posso entrare così…Devo entrare ed essere una di loro, devo sentirmi una di loro…”.
“Qual è il problema? Non sei contenta di essere qui? Non ci tenevi tanto a venire?...E adesso, che fai?...”.
E lei, facendo rinascere pian piano il sorriso, sussurra: “Guarda che io non posso entrare così…Devo entrare ed essere una di loro, devo sentirmi una di loro…”.
Mi raddrizzo, mi mostro pensieroso e mi
accarezzo il mento, come a pensare a una
soluzione…
Ma poi, mentre penso, mi accorgo
- sempre dal suo crescente sorriso – che lei
ha già soluzione e risposta al suo problema,
e occorre ora solo la mia approvazione.
“Quindi…?” e la invoglio a esprimersi.
“Sarò una rana – riprende lei colmando il suo sorriso – così potrò stare un po’ vicina a te e un po’ vicina a loro, proprio come la rana: un po’ sulla terra, un po’ nell’acqua!”.
“Quindi…?” e la invoglio a esprimersi.
“Sarò una rana – riprende lei colmando il suo sorriso – così potrò stare un po’ vicina a te e un po’ vicina a loro, proprio come la rana: un po’ sulla terra, un po’ nell’acqua!”.
Non sapevo che dirle, a questo punto, se non
approvare in rispettoso silenzio quella sua
scelta tanto fantasiosa e sorprendente, e
allo stesso tempo concreta e risolutiva.
E varcammo la sbarra tra i due mondi: tra
quello di ogni giorno, e quello di oggi, qui e
ora: il mondo dello zoo.
Fra l’altro io il biglietto non l’ho pagato,
in quanto sacerdote.
Non so perché, ma
mi avevano detto che i preti non pagavano
l’ingresso.
Forse per rispetto…o per far sì che si portasse un giorno la comunità, o un gruppo…o per chissà che altro.
Forse per rispetto…o per far sì che si portasse un giorno la comunità, o un gruppo…o per chissà che altro.
Sta di fatto
che già quella differenza mi faceva pensare
che lei, pagante, stava vivendo in un modo
gratuito e libero da ogni condizionamento
quel momento; io, non pagante, non sono
ancora in grado di godermi questo momento
speciale con lo spirito di questa gioiosa e
giocosa bimbetta.
Il tornare bambini –
nell’animo – quanto è difficile!
E mentre sto
pensando a tutte queste cose, lei intanto è
già alle prime gabbie a parlar con gli animali…
Che differenza tra quel suo e questo nostro mondo!
Lasciar esprimere…
Che differenza tra quel suo e questo nostro mondo!
Lasciar esprimere…
Come educatori, ci sentiamo superiori,
responsabili, in dovere di…
E facciamo tutto il possibile per far crescere
ed educare, ma a modo nostro…
A modo vecchio, per un mondo vecchio e al
tramonto.
Educhiamo con spirito di dovere, non con
l’anima dell’amore.
Educhiamo a un tramonto, in una parola: alla
morte.
Lasciar esprimere è educare alla vita, a un
mondo rinnovato.
Ma non abbiamo tempo, forse perché non
abbiamo il senso.
Abbiamo tutte le voglie di questo mondo, e
le trasmettiamo.
Ma nessun desiderio di un mondo oltre, al di
là, da scoprire.
La bimba che si fa rana ci aiuta e ci invita a
far un salto al di là.
Lasciandoci esprimere per la vita,
e non comprimere dalla morte.
e non comprimere dalla morte.
Il Fenicottero
Tutti in gruppo su una gamba…
e anche lei provava questo equilibrio.
Il nome di questo volatile significa
innanzitutto “ali di porpora”.
Il suo caratteristico e carismatico colore
rosa dipende dal fatto che si ciba di una rara
alga rossa e di crostacei, i quali conferiscono
alle piume questi meravigliosi pigmenti di
tinte eteree e sfumate.
Si dice che il fenicottero abbia ispirato il
“mito della fenice” dalle ali fiammeggianti:
l’antico simbolo della trasformazione e
resurrezione, la fenice che alla fine della
sua vita viene consumata dal fuoco e rinasce,
poi, magicamente dalle sue ceneri.
Questo incantevole esemplare di volatile ha
affascinato, nel tempo, tantissimi artisti,
poeti e letterati tra cui Pablo Neruda che
proprio ad esso dedica la poesia “Flamenco”
ovvero “Fenicottero”:
"Era il suo corpo fatto di penne
eran di petalo le sue ali
era una rosa che volava
diretta verso la
dolcezza.
Ho abbandonato quelle regioni
mi son vestito di frac e di ferro
m’hanno morso molti dolori
ma nel fondo di me stesso
come in quel lago sperduto
continua a vivere
la visione d’un uccello o angelo indelebile
la visione d’un uccello o angelo indelebile
che trasformò
la luce del giorno
con lo splendore
della sua presenza ed il suo roseo movimento".
della sua presenza ed il suo roseo movimento".
È con queste parole che Neruda esprime
tutta la sua meraviglia e stupore dinnanzi ad
un uccello tanto regale e sacro, raffinato ed
elegante nel suo dolce colore di tenerezza
ed ingenuità.
Il fenicottero è altresì definito “uccello dei
quattro elementi” (aria, acqua, fuoco, terra);
storicamente viene ricordato non solo per la
sua immensa bellezza e particolarità di forma
e colore, ma anche per il richiamo che esso fa
alla sfera dell’emotività.
Il fenicottero rosa
simbolicamente incarna da un lato: positività,
fascino, eleganza, equilibrio, rinascita, amore,
sensibilità, sogno, indipendenza, evoluzione
e cambiamento, sincerità e altruismo;
dall’altro lato, è sinonimo di dipendenza
affettiva ed eccessiva vulnerabilità.
E’
un volatile che invita alla riflessione, che
trasmette un senso di elevazione e purezza
e, in alcune religioni rappresenta un simbolo
di transizione dalla morte alla vita, dalle
tenebre alla luce.
Il suo rapporto con l’acqua, elemento
naturale attribuito alla psiche e all’ animo, ci
connette agli stati superiori della coscienza
e dell’introspezione.
Il suo colore rosa potrebbe ricollegarsi al
chakra del cuore a cui elargirebbe un’energia
favorevole, di calma ed ottimismo che pone
in uno stato di forte empatia con l’altro.
Ogni fenicottero ha dodici piume nere per
ogni ala, fondamentali per il volo che avviene
prevalentemente di notte.
Il dodici nella numerologia è molto importante perché fa riferimento alla pienezza e totalità originaria, indicando un ciclo completo come i mesi dell’anno.
Palese richiamo vi è poi al totem dell’araba fenice, solitamente invocata per far fronte ai fallimenti della vita umana.
Insomma, un animale dalle mille interpretazioni e sfumature, che si leva nel cielo del tramonto per tingerlo di rosa!
Il dodici nella numerologia è molto importante perché fa riferimento alla pienezza e totalità originaria, indicando un ciclo completo come i mesi dell’anno.
Palese richiamo vi è poi al totem dell’araba fenice, solitamente invocata per far fronte ai fallimenti della vita umana.
Insomma, un animale dalle mille interpretazioni e sfumature, che si leva nel cielo del tramonto per tingerlo di rosa!
Uno
spettacolo della natura che non finisce mai
di incantare ed ammaliare…
Non sempre possiamo camminare su due
gambe; spesso la vita ci riserva incidenti
e acciacchi nel percorso, per cui dobbiamo
stare con un piede per terra e con l’altro
raccolto su di noi.
Ma tutto questo ci insegna
l’arte del saper vivere, e dell’affrontare con
fiducia anche il momento dell’handicap fisico
o morale che ci viene dato in sorte.
Lei ammirava questi fenicotteri come a
specchio, come fossero cioè l’immagine
della propria immagine, intravedendo in loro
il proprio destino di vita, e comprendendo
già, fin d’ora, la propria impossibilità a
procedere sui due piedi, e il doversi allenare
a procedere con un piede per terra e uno
raccolto a sé.
Fenicottero…un elicottero destinato al volo,
ma al quale viene tolta un’ala, e una base.
Ma, comunque sia, il suo destino è il cielo,
non certo lo stare con i piedi per terra.
E lei, con un piede, saltellò alla prossima
visita…
L'Elefante
Con quel peso enorme da una parte, con quel corpo esile dall’altra, i due facevano comunque amicizia in simpatia, attraverso qualche movimento di lui e un po’ di dolci parole di lei.
Un peso alleggerito, un corpo
esile innalzato.
Il gravare delle situazioni
della vita avrebbero potuto già da subito
schiacciare questa bimba, se un destino
misterioso e benevolo non gli avesse messo
sul cammino qualcuno ad accompagnarla in
questo mondo animale, trasformato così in
un luogo di avventura e di bellezza.
Il peso
dell’elefante diventa così una garanzia, e
la piccola si può avvinghiare, anche se solo
idealmente, alla sua schiena, per godere di
un momento di relax e di passeggio sicuro
sulle strade della vita.
Garanzie che non
ha trovato altrove, anzi che l’hanno delusa,
sfruttata e stuprata a tutti i livelli.
Senza
questo ritorno naturale al regno animale,
il regno degli affetti ipocriti e traditori,
specie da chi gli era vicino, l’avrebbe fatta
subito morire e farla finire…ma non era
ancora il momento, per quella bambina che
affidava ora alla proboscide del mastodonte
essere il suo destino con una foglia raccolta
lì, sui due piedi.
Il grosso pachiderma in
quel momento appariva piccolo e gentile,
mentre la piccola diventava davanti a lui
qualcosa di vero, di grande e di bello, alla
quale portar rispetto e amore.
E fu così, in
verità, tra loro.
Nei suoi goffi movimenti,
quell’animale appariva più vero e sincero di
coloro che avrebbero dovuto amar quella
bimba; e quella bimba, pur a malincuore e ad
ultima scelta, a quell’elefante poteva solo a
lui in quel momento affidare la sua fiducia e
la sua amabilità, che altrove gli era finora
stata negata. Poteva quel grosso animale
avere amore verso quella bimba?
No, di
certo.
Ma certa era la simbiosi tra loro,
in quel momento.
Quella che quella bimba
avrebbe dovuto avere dai suoi, ma che –
per la superbia di loro – mai aveva avuta,
per cui, quel giorno, arrivò da me.
E io, per
consolarla, l’accompagnai qui,
a quest’isola felice dello zoo.
a quest’isola felice dello zoo.
Chi si gonfia di superbia, in verità appare
goffo come un elefante nella sua vita.
E calpesta chi incontra, chiunque sia, pur sia
figlio suo.
Il vero elefante si guarda bene dove
cammina e calpesta, e non alza mai la cresta,
ma solo con la proboscide tasta il terreno e
il luogo dove porsi e incontrare, e lasciarsi
incontrare.
Solo così è un vero elefante; altrimenti, fa
solo spettacolo da circo, e nulla più.
Senza relazioni, senza emozioni, senza
amore.
Solo per soldi, venduto, pagato, merce di
scambio.
La Tartaruga
Lei si accostò alla tartaruga che da decenni stava ad aspettare un non so che…
Ma ora, quella carezza della bambina,
sembrava farle spazzar via tutti quegli anni
di vecchiaia e di antichità.
Già.
La forza di una carezza, accompagnata da
un sincero sorriso, aveva in quel momento la
forza di ringiovanire anche quella vetusta
testuggine.
Un sorriso e una carezza spesso alla bimba
rifiutate, che hanno fatto diventare vecchia
megera anche colei che poteva essere vicina
e amica.
Non accogliere è il modo peggiore per
invecchiare.
Quella tartaruga lemme lemme pareva
segnare quel giorno la pazienza e la preziosità
del cammino da gustare: senza fretta né
agitazione, gusta così ogni emozione.
Inoltre, il suo guscio: una bella protezione,
sicura dai pericoli; ma dal quale uscire e
sgusciare al momento opportuno.
“Guarda, guarda!... - diceva la bimba - Guarda
come ci guarda!”.
La tartaruga osserva, con calma e attenzione,
chi gli si pone dinnanzi, quasi come a una
contemplazione; e alla bimba non pareva vero
di essere così considerata da quell’animale,
dopo essere stata sempre trascurata da chi
si aspettava di essere amata.
“Dagli una foglia da mangiare…!” la invitai.
E la bambina pose davanti al viso della
tartaruga quella porzione di verde, e quella
pian piano se la gustò, a gradimento suo e di
noi, che stando lì, gustavamo a nostra volta
quel gesto di condivisione e di attenzione
che richiamava a noi la coscienza di dover
accettare spesso l’umiliazione e la non
considerazione là dove ci aspettavamo
amore e anche solo un po’ di pietà, come per
quella tartaruga desiderosa di un gesto di
compassione.
Pensavo a come noi non siamo tartarughe,
facciam le cose sempre in fretta e furia,
quasi che ci manchi la terra sotto i piedi.
Aver cura e attenzione e un poco di pazienza forse – ce lo insegna la tartaruga – ci farebbe vivere meglio e con uno spirito nuovo le cose che viviamo da sempre in modo abitudinario e vecchio.
Aver cura e attenzione e un poco di pazienza forse – ce lo insegna la tartaruga – ci farebbe vivere meglio e con uno spirito nuovo le cose che viviamo da sempre in modo abitudinario e vecchio.
Noi siamo più vecchi della tartaruga,
nell’animo.
E poi, non usciamo volentieri dal nostro
guscio.
Solo la carezza di una bimba ci può richiamare
a uscire.
Ma noi ne siamo infastiditi.
Non siamo gente di carezze, ma di diritti e
di doveri.
Oltre, non c’è niente, per noi.
Torniamo a chiuderci nel guscio,
lasciando la bimba attonita e delusa.
lasciando la bimba attonita e delusa.
Il Cammello
“Tirati su con quella gobba!” richiamava la bimba all’animale.
Ma quello ruminava la sua erba e non le dava
ascolto più di tanto.
Lei allora gettò a lui una caramella.
E quello, incuriosito, si sollevò e si incamminò
verso di noi.
Le sue gobbe apparvero allora con eleganza,
come parte del suo portamento.
Bastò quella caramella a risvegliare l’identità
del suo cammino.
Tra la rete e la bimba, il cammello annusò la
sua mano.
Apparve il vero cammello, e le sue gobbe
scomparvero alla nostra attenzione.
Non è importante come era prima, ma come
si era messo adesso.
In atteggiamento docile e disponibile.
“Ma come sei bello!” disse lei al cammello.
E quello, quasi a risposta, fece brulicare le
labbra, ed emanò un verso stile ‘grazie’.
Il cammello non capiva niente di quello che
lei diceva, certo; ma intuiva la sua preziosa
vicinanza, e apprezzava che – nonostante
le sue gobbe – qualcuno gli stava dando
attenzione.
Nel deserto, il cammello certo si sente solo,
finchè non viene richiamato da qualcuno.
E così, anche in quella gabbia dorata, servito
e ben fornito di cibo e bevanda, il cammello
non poteva che dirsi accolto come in una
locanda.
Ma mancava solo la cosa più importante: quel
richiamo che la bimba gli dava ora, con una
strigliata e una avvicinata, per renderlo se
stesso.
Richiamar le gobbe al cammello non è poi
tanto bello,
ma fatto da una bimba in verità l’effetto già
lo fa:
quello di rendere al meglio la natura del
cammello.
Spesso la nostra accettazione della verità
questo effetto non lo dà;
anche a chi si crede di doverlo dire, l’effetto
non vedi venire.
Ogni volta che dirai in verità un difetto per
essere corretto,
troverai chi ti toglie da subito il suo affetto
e ti darà disprezzo.
E così successe a quella bimba,
che dicendo la verità all’animale,
scoprì che in questo caso vale;
ma dicendo a chi di dover la verità,
trovò solo tanta e tanta brutalità.
trovò solo tanta e tanta brutalità.
L'Orso
Nella sua gabbia, l’orso solitario andava e veniva, girava senza meta e continuamente, in un vortice continuo che dava l’idea che avesse perso ogni forma di orientamento.
La forza bruta diventa una brutta cosa se
non ha più un valore e un peso nella vita.
Spesso la forza ci prende e ci avvinghia e
come l’orso in gabbia non sappiamo più se
siamo noi a condurre o se siamo condotti noi
da questa forza istintiva e irrazionale.
Un
animale da compassione, ora; anche la bimba
se ne era accorta da subito, e mi chiedeva:
“Ma cosa fa? Come mai continua a girare su
se stesso?”.
La forza bruta, senza un senso,
è una brutta cosa; già, ma come spiegarlo
alla bambina?
Allora le dissi: “E’ ammalato”.
E lei: “Che cosa ha?”.
“Gli manca l’amore. Non
vedi? E’ solo e abbandonato a se stesso…
soffre di solitudine e di compagnia che
gli manca”.
Lei lo osservava con una certa
tristezza e compassione, poi riprese: “Non
possiamo fare qualcosa per lui?”.
“No – le
dissi – non c’è niente da fare. E’ abbandonato
al suo destino”.
Lei lo osservava, con quello
sguardo ammirato e incredulo, come a
chiedersi come potesse una forza di così
grande animale ridursi a essere nulla e ridurlo
a nullità.
Da paura, quell’animale suscitava
ora compassione e pena.
Da prudenza nei
suoi riguardi, ad accoglienza e premura
per la sua condizione.
Anche la nostra vita
– avrei voluto spiegare alla bimba – è così:
per un tempo si mostra forte e gaia nei
nostri confronti; poi, d’un tratto, ecco che
si riduce a debolezza e fragilità, ad essere
in balìa del destino.
Se potessimo capirlo,
questo, anche per la nostra vita!
Siamo orsi
finchè possiamo e ce la facciamo; poi, per
chissà quale sorte, ecco che diventiamo
animali ingabbiati e da visitare, quasi come
ammalati in una clinica.
Mentre ero intento
a questi pensieri, la bimba mi richiamò:
“Ma che fine farà?...”.
“Mah…Intanto, come
vedi, è già finito: tutta la sua forza e la sua
baldanza, a che serve ora? A niente. E poi,
con chi ha a che fare, se non con se stesso?
Dove sono finiti i suoi simili, i suoi amici, e i
suoi nemici? Nessuno gli fa più compagnia né
stimolo per vivere…Sta qui solo per essere
visto, per ora…poi, non lo vedremo più…”.
La
bimba si rabbuiò dal suo sorriso: “Quanto
mi piacerebbe liberarlo!”.
“Anche libero,
dove andrebbe ora? E’ vecchio, come vedi.
E poi, le sue gabbie sono dentro di sé, non
certo queste qui fuori. Sarebbe solo libero
di morire fuori di qui, non certo per vivere”
e le posi una mano sul capo, come a gesto di
consolazione per quella che lei considerava
una triste situazione.
Gira e rigira nella gabbia della vita, senza
meta e senza senso,
è ormai una realtà che appare sempre più
evidente in chi non è clemente.
Clemente né con sé, accettando quel che è;
né con il mondo attorno,
che gli farà da gabbia e da confine, perché
manca un fine.
La fine non è vicina: è già presente, e in ogni
cosa.
Fare o non fare non cambia:
tutto è destinato alla morte.
tutto è destinato alla morte.
L’orso in gabbia è potenza che da espansione
s’è ridotta a commiserazione.
I Pinguini
“Come le rane, sono un po’ dentro e un po’ fuori dall’acqua” – osservò la bimba.
“Sì – risposi io – ma loro sono goffi e ridicoli,
meno attenti ai due mondi, più istintivi e
frettolosi”.
“Già – disse lei – meglio la rana”.
“Già – disse lei – meglio la rana”.
Il pinguino non ha certo quella forza di
indipendenza che ha la rana.
Lui vive e
condivide con la sua comunità senza dare
troppo valore alla propria autonomia,
facendo spesso quello che fanno gli altri,
accompagnandosi sempre a loro.
Per questo
non lo si vede autonomo e indipendente, ma
dipendente e gregario alla sua comunità. Pensare come la pensan tutti e agir come
fan tutti è ormai la moda della pinguedine
umana, che trae dal modo di essere e di vivere
comune la sua strada.
Seguir la moda e la
convenienza è ciò che fa ingrassare la nostra
identità, e questo il pinguino lo sa.
E così fa.
Così fan tutti.
E insieme ci si diverte e la si
gode; sì, proprio come in quella vasca dove
entrano ed escono tutti questi pinguini dello
zoo.
Non si nota nessuno in autonomia; tutti
invece sempre in compagnia.
La compagnia
aggrega, ma non fa crescere l’indipendenza
e l’autonomia, se non viene vissuta con animo
libero.
Vediamo questi animali agire insieme
e aggregati, ma non li distinguiamo nel loro
agire singolarmente.
“Meglio la rana…” sottolineò la bimba.
Sta di fatto che questa aggregazione se da
un lato ci dona simpatia e accresce il senso
della compagnia, dall’altro ci nasconde
l’intenzione e l’attenzione che ognuno pone
al proprio agire e al proprio vivere.
Aggregarsi e nascondersi sono due
atteggiamenti che fan parte dello zoo della
vita.
Dimenticando e svalorizzando le proprie
responsabilità e il proprio impegno di
persona.
“Certo, meglio la rana” approvai.
E poi, manca a questi pinguini un po’ di
attenzione e di applicazione nel loro
frettoloso agire.
C’è un istinto al comando di
questa allegria comunitaria che ci fa perdere
di vista la considerazione della situazione
che viviamo, ponendo in atto un momento di
valutazione e di considerazione delle cose,
senza fretta e senza ansia, ponderando il tutto.
Queste cose non sono nel carattere del
pinguino, che se la gode e sfrutta al momento
la situazione, sentendosi appagato di quella
comunità che sostegno gli dà.
Finchè vivrà, sarà così.
Meglio la rana, in questo.
Il Lupo
“Che cosa ha a che fare il lupo con la rana?...” mi chiese la bimba.
“Niente…niente…almeno, che sappia io…”
risposi, mentre osservavo quel lupo.
Un custode dello zoo stava passando in quel
momento, e mi salutò.
“Ma non erano due i lupi…l’altra volta…?” gli
chiesi.
“Abbiamo avuto un bel problema con la lupa”
riprese lui, scostandosi a lato, per non farsi
intendere dalla bimba e abbassando il tono
della voce.
“Cosa è successo?” chiesi sottovoce,
interessato dal suo dire.
“La lupa, incinta, è impazzita quando ha
generato…”
“Che vuol dire?”
“Beh, alla nascita della cucciola, l’ha subito
rifiutata: la trattava male, la allontanava, e
non la voleva averla assolutamente vicina…
Ma quello che mi ha scioccato è che in
pratica, con questo suo comportamento, l’ha
portata di fatto a farla morire. Niente, se
fosse tutto qui… La piccola, una volta morta,
quella pazza lupa se l’è tenuta nella tana,
e l’ha sotterrata lì, dove nessuno poteva
accostarla. Prima insomma l’ha partorita
come se non l’avesse mai voluta, poi l’ha
tenuta stretta a sé morta, come se non
volesse mai lasciarla: lupa pazza, impazzita”.
“Come mai questo lupo è da solo nella gabbia?”
chiese la bimba avvicinandosi a noi.
“Dopo te lo spiego…torna a vederlo, intanto”
e la rimandai alla gabbia del lupo.
“…Ma poi l’avete soppressa?” chiesi al
custode.
“No, non si può. L’abbiamo isolata, non è più
qui; non so dove sia finita; meglio comunque
tenerla lontana da qui!”.
“Allora, adesso ti spiego perché è da solo
questo lupo: sta aspettando la sua lupa,
una in gamba, sulla quale possa contare per
formare una famiglia. Finora non l’ha trovata.
Ne aveva trovata una, ma si è mostrata
inaffidabile. E lui ha pensato: intanto,
meglio soli che mal accompagnati. Prima o
dopo vedrai che troverà la sua compagna di
vita, e quando ritorneremo vedrai tutta la
sua famiglia”.
“Ma le rane…anche loro hanno una famiglia?”
“Certo – esclamai con un sospiro - e speriamo
non seguano il destino di questo lupo!”.
A VOLTE, LA PAZZIA E’ UNA FORMA DI
MALVAGITA’
INSITA IN UNA PERSONA,
INSITA IN UNA PERSONA,
CHE VOLENDO APPARIR NORMALE
AGLI OCCHI DELLA GENTE ATTORNO A LEI,
SCARICA A TUTTO GAS
SU CHI GLI E’ VICINO QUEL CHE E’ DEL SUO DESTINO.
AGLI OCCHI DELLA GENTE ATTORNO A LEI,
SCARICA A TUTTO GAS
SU CHI GLI E’ VICINO QUEL CHE E’ DEL SUO DESTINO.
Il Leone
Alla gabbia del leone c’è una divisoria in vetro per una miglior visione.
E la bimba mi chiese qualche foto con il
sottofondo dell’animale, quasi fossimo vicini.
Quasi fossimo parenti.
E in effetti, un po’ del cuor del leone
appartiene a tutti noi.
Sia in male, in arrabbiature e ferocie, sia in
bene: in forza e tenacia.
Alla bimba non pareva vero di poter stare
così vicina al leone, attraverso la divisoria
in vetro.
Quasi lo accarezzava, con timore e
venerazione, e con una certa prudenza.
Eppur, crescendo, chissà se quella dolce
e timida fanciulla non avrebbe dovuto
ricorrere alla forza del leone per affrontare
i suoi problemi…
Solo qualcuno lo sa…e qualcuno nemmeno se
lo immagina come sarà.
Saranno leoni altri attorno a lei, iniziando
dai più vicini.
Le sbraneranno gli ideali, le faranno a
brandelli l’anima, la strazieranno.
Ma non riusciranno a farla finire subito lì,
con la loro violenza.
Perché il suo cuore di rana la farà rimbalzare
ora qua, ora là.
Sfuggendo, finchè le sarà possibile, a questa
disumanità.
E il leone della gabbia, in questo caso, è più
docile di un agnello in libertà.
Mentre chi le farà violenza la tratterà come
fosse un agnello in gabbia.
“E la rana…la rana, c’entra con la vita del
leone?...” interruppe la bimba.
“…C’entra, eccome: lei salterà e balzerà,
come danzando e sfuggendo qua e là, più
energica e scattante di ogni leone!” risposi
con un tono di solenne affermazione.
E la bimba sorrise, appagata di quella abbinata
che lei riteneva vincente: un corpo da rana
e un cuore da leone era in quel momento per
lei il massimo che poteva avere per la sua
vita.
Mentre ci allontanavamo dalla gabbia
del leone, osservavo quell’animale mezzo
assonnato e intento a rosicchiare un grande
osso che gli era stato posto innanzi, pensando
al fatto che i veri leoni nella vita non sono
quelli, ma noi qui fuori, che siam pronti a
sbranare e a sbranarci ogni volta che, a mo’
di una rana o di una bimba, diamo fastidio gli
uni agli altri.
“E adesso, cosa andiamo a vedere?...”
richiamò la bimba/rana saltellando dinanzi
a me.
La Giraffa
Guardare le cose dall’alto.
E’ la scuola di vita della giraffa.
Vedere le cose terra terra è utile e concreto,
ma senza lo sguardo dall’alto non è possibile
accedere alla speranza, alla fiducia e alla
bellezza del panorama appieno.
E poi, per parlare alla giraffa devi proprio
farti umile, e riconoscere che non devi
abbassarti per farlo, perché lei è sempre
al di sopra di te.
Per farsi umili occorre non
abbassare lo sguardo, ma alzarlo a lei.
Per osservare il volto della giraffa da vicino,
usai l’obiettivo della camera fotografica.
E la bimba osservò quel volto lontano ora
fattosi così vicino a lei.
Se abbiamo un obiettivo, anche le realtà più
lontane si fanno vicine.
Ma ecco che d’un tratto la giraffa abbassa
il suo volto verso di noi, mentre io sto
sistemando l’obiettivo della fotocamera.
La bimba aveva colto un fiore, e glielo aveva
mostrato; e quella, incuriosita o attratta
da quel che poteva pensare essere un cibo
gradito, s’era abbassata a lei, fin quasi alla
sua mano.
L’obiettivo la bimba l’aveva già, e l’aveva
espresso così in quell’occasione, in concreto,
mentre io lo filosofavo dentro di me per lei.
“Ma perché hai preso proprio quel fiore per
la giraffa?” le ho chiesto.
“Perché ho visto che lei lo guardava dall’alto”
aveva risposto.
“Ma come hai fatto a vedere che lei guardava
da lassù quel fiore qui sotto?” richiesi.
“Boh..” e stupita e sorridendo guardò alla
giraffa e poi a me.
L’obiettivo – pensai – lo raggiungi quando il
tuo sguardo si intende con quello dell’altro,
anche se fisicamente distante.
Ma è lo sguardo del cuore, quest’ottica
diversa che la bimba mi accennava, a far
apparire ciò che era interessante non solo
per noi, ma anche allo sguardo del cuore
dell’altro, alla sua ottica.
Questione di ottica, non di occhi.
L'Ippopotamo
Tra la leggerezza della bimba saltellante e la pesantezza del pachiderma inerme potrei ben collocare la mia persona.
E mentre mi appoggio alla transenna a
richiamare l’animale, quasi a svegliarlo dal
suo essere assonnato, mi immagino che cosa
sia la pesantezza delle nostre realtà umane,
senza lo spirito di quella fanciulla ranocchia
accanto a me, che ancora balza e non si
stanca, e canta e sorride.
Essere allo zoo senza di lei, che senso
avrebbe?
Lei ti rende leggero l’animo, la mente e il
cuore; e anche l’ippopotamo sembra quasi
volare tra le nuvole, contagiato dalla sua
leggerezza.
Rimango a contemplare un po’ questa bella
atmosfera, creata da un semplice sorriso e
da niente di fatto in più, se non una presenza,
che con i suoi pregi e i suoi limiti, regala a
questo zoo e a quello della vita la sua umanità:
sì, umanità.
A volte, in disumanità, abbiam più peso noi
dell’ippopotamo.
“Guarda, si muove verso di noi – e richiamo
la bambina – vieni!”
“Eh, sì…ha visto il biscotto che gli ho gettato
qui sotto…” mi risponde lei.
“Non si gettano biscotti agli animali!...”
Poi, pensandoci bene…
“Brava! Hai visto come una rana è riuscita a
far muovere un ippopotamo?”.
Non è questione del piccolo o del grande
nelle nostre relazioni.
Né del più o meno forte.
E’ quello che poniamo tra noi che fa muovere
o allontanare le relazioni.
L’ippopotamo, intanto, spalanca a tutto
spiano la bocca, a mo’ di estremo sbadiglio;
e anch’io, contagiato, sbadiglio.
Sono anche un po’ stanchino.
Ma ammirando la bimba vivace subito mi
riprendo,
e riprendiamo il cammino.
e riprendiamo il cammino.
Il contagio.
Questa grande impossibilità a procedere.
Questa grande possibilità a riprenderci.
Non restare all’ippopotamo.
Segui la rana.
Il Coccodrillo
Immobile al sole, pare fatto di pietra.
Sarà stanco.
Sarà abbuffato.
Sarà addormentato.
La bimba lo osserva per un po’, poi mi dice:
“E’ una lucertola, vista da qui”.
“E’ una lucertola, vista da qui”.
Già.
Da lontano, non vedi mai il pericolo, e
nemmeno l’occasione.
Solo quando ti avvicini o ti si avvicina una
situazione, appare il bello o il brutto.
“Cosa fa quell’uccellino lì vicino alla sua
bocca?” mi chiede incuriosita.
“Gli fa la pulizia dei denti, gli fa da spazzolino;
e intanto si nutre anche lui”.
“Ma non gli fa niente il coccodrillo?”
“Ma no, loro si intendono, e si aiutano a
vicenda, a loro modo”.
Il parassita.
Non sempre è negativo.
A volte, anzi, ci toglie, in qualche modo,
anche se a noi non va, la negatività.
O l’eccesso.
E noi, se lo accettiamo così,
gli diamo più forza e possibilità per ripulire
la nostra negatività.
Ma se rimane attaccato a te tale e quale,
senza toglierti nulla e senza nulla fare,
allora è proprio da cacciare.
Ma il parassita ci aiuta di più quando ci dà o
quando ci toglie?
Il coccodrillo si è intanto mosso, e scende
nell’acqua, e scompare.
“Guarda! Anche lui fa come la rana!” mi
richiama la bimba.
“Certo, perché si è dimenticato di essere
una lucertola!”.
Guardiamo agli altri,
crediamo che siano così,
ma appena loro si muovono,
appaiono diversi da com’erano lì.
ma appena loro si muovono,
appaiono diversi da com’erano lì.
Gli occhi non bastano per l’ottica sul mondo:
occorre avere in essi la disposizione a muoverli.
occorre avere in essi la disposizione a muoverli.
Le Scimmie
Tra stridore e urla ci ritroviamo tra le scimmie e gli scimpanzé, e con un gorilla.
La compagnia animale più vicina a noi ci
accoglie con la sua vitalità, scorazzando tra
liane e piante, fogliami e rami, e in questo
modo ci fa sentire a casa nostra…
“E’ vero che noi discendiamo dalle scimmie?
Che differenza c’è tra le scimmie e noi?...” –
è la nuova richiesta della bimba.
“Discendiamo…ma non subito…nel tempo:
tanto, tanto, tanto…poi cambiamo…poi, di
preciso, non saprei. Ma la differenza tra
noi e loro è che noi abbiamo la coscienza, e
possiamo usarla. Loro no, non ce l’hanno”.
“Ma capiscono…?” mi richiede lei.
“Sì, con i sensi; ma poi non si rendono
conto, non fanno uso della ragione, anche se
sembra qualche volta. Manca la coscienza,
proprio quella che qualche volta sembra che
manchi anche a noi, quando facciamo le cose,
capiamo, ma non ci rendiamo conto…”.
Lei mi osserva, poco convinta; poi segue con
interesse il via vai delle scimmie, scruta il
gorilla seduto là in fondo…e la questione
finisce così.
Dicendola al contrario, il mondo animale ci
insegna a fare le cose in modo naturale.
Sì, a non usare la coscienza per fare
artificiosamente il bene o il male.
La coscienza ci dovrebbe mettere in sintonia
con la nostra natura.
Come i sensi mettono in sintonia le scimmie
con la loro natura.
Ma…lasciamo perdere…
La fanciulla, intanto, sta correndo qua e là
gioiosa,
esprimendo in modo naturale la coscienza di
essere serena.
Scimmiottare.
Un verbo che ci accosta in modo animalesco
alla scimmia.
Degradando l’umano e insieme l’animale.
Imitando bene il peggio e imitando male il
meglio.
E applicandolo all’animale, ingiustamente.
E altrettanto ingiustamente, alla persona.
Con un pizzico di coscienza possiamo
riportare il tutto alla naturalità.
Alla natura animale.
Alla natura umana.
“Guarda – mi richiama lei improvvisamente –
il gorilla si gratta il sedere!”.
Sorridiamo.
Sosta al baracchino
Per la merenda ci siam fermati al baracchino,
quel chiostro posto all’ombra,
per fare un ristoro nel cammino.
per fare un ristoro nel cammino.
Seduti e rilassati, io
prendo il mio solito bianchino con le patatine;
lei un piccolo gelato, e nulla più.
Invitata a mangiare ancora qualcosa, rifiuta e mi invita a procedere nella visita, a non perder tempo prezioso in quella occasione serena e ideale che non si vuol perdere.
Invitata a mangiare ancora qualcosa, rifiuta e mi invita a procedere nella visita, a non perder tempo prezioso in quella occasione serena e ideale che non si vuol perdere.
Ma prima di procedere, l’ho convinta a fare
un giro del parco sul trenino, che passa per i
luoghi più significativi del parco, ammirando
ora a destra, ora a sinistra, ora da sopra o
da sotto i vari settori dello zoo.
Ci voleva questa piccola sosta viaggiante
per riprendere coscienza del percorso e del
nostro procedere, per orientarsi meglio e
per valutare i nostri percorsi fatti e quelli
da fare.
Anche nella vita, ripassare in altro modo
quello che viviamo ci fa essere più rilassati
e coscienti nel cammino.
Continuare a procedere senza fare una
tappa o non cambiando il modo di procedere
rischia di farci andare avanti senza un senso
e un perché, come perdendo il gusto della
sorpresa e della novità.
“Il treno dei desideri e dei miei pensieri,
all’incontrario va”…ma il vedere a ritroso, a
volte, fa vedere meglio quello che pensavamo
di aver già visto appieno, e che invece ci fa
intravedere in una nuova ottica del percorso,
di quel settore, di quella visita, di quel
passaggio.
La merenda ci ha fatto rilassare e riprendere
le energie nuove per continuare il cammino,
per avere la giusta energia nell’apprezzare
e nel valutare le cose.
Continuare a procedere, senza sosta, ci
avrebbe sfiancato e non fatto godere appieno
il viaggio nello zoo.
“Che bello il viaggio sul trenino!... - dice la
bimba entusiasta… - Ancora uno…?”
“Va beh…dai…!” e ricompro il biglietto, e si
rifà il percorso, osservando in modo nuovo
e più attento le cose che prima ci erano
sfuggite.
“Dopo, basta, però!...” e mi abbandono sul
sedile del trenino.
L'Anatra
La bimba, allora, ne era rimasta affascinata:
“Vorrei anch’io essere un giorno come l’Araba
Fenice!”
“Cerca di essere intanto almeno un’anatra
felice!”
le avevo detto in battuta.
le avevo detto in battuta.
Ma la vita ci riserva ben altro che anatre e
oche…
Anche se, a mio avviso, penso di aver capito
la differenza tra verità e starnazzo.
Non è quello che dici,
ma il come lo dici che fa la differenza.
ma il come lo dici che fa la differenza.
Puoi dire anche cose belle e intelligenti;
ma se il modo di parlare par quello dell’oca,
è solo starnazzare.
ma se il modo di parlare par quello dell’oca,
è solo starnazzare.
E’ lo spirito con cui parli che fa differenza
fra verità e starnazzar dell’oca.
In questa parentela tra anatre e oche si
inseriscono certe persone – e non solo donne
– che a parlar bene e di cose buone sembra
si intendano assai, ma al suon della loro voce
già appar lo spirito dell’oca starnazzante,
alla quale non affideresti nemmeno un’unghia
di te.
Eppur, di oche è pieno il mondo,
e par prolifichino anche bene.
e par prolifichino anche bene.
“Ricordati – adesso te lo dico seriamente,
dissi alla bimba – che tu sei già, col tuo
desiderio sincero, l’Araba Fenice. Sì,
perché quello che desideri sinceramente già
ti realizza nello spirito, nella mente e nel
cuore”.
L’Araba Fenice rinascerà,
oltre le sue morti morali e fisiche, dalle sue ceneri.
oltre le sue morti morali e fisiche, dalle sue ceneri.
La bimba non so perché avesse fatto
riferimento a questo simbolo di rinascita.
Forse perché ne era istintivamente
affascinata, o forse intendendo altro…
Ma altro non le chiesi, per non sembrarle
invadente, e anche per rispettare il suo
prezioso e misterioso piccolo desiderio.
Ma, ora che ci ripenso, dove l’aveva vista
quest’Araba Fenice,
se allo zoo che avevamo visitato non c’era
proprio?
Mah…sarà una fantasia che avrà raccolto
chissà dove o chissà quando…
Mi sovviene ora anche la storia del Brutto
Anatroccolo…e qui l’anatra comincia ad
apparire più simpatica e con una comprensione
e una compassione da parte nostra.
‘Ricordava
come era stato perseguitato e insultato, e
ora sentiva dire che era il più bello di tutti
gli uccelli!'.
Questa trasformazione ce la
auguriamo, ogni volta che ci specchiamo
nelle nostre brutture e risentiamo ad eco i
nostri starnazzi.
“Qua!...Qua!...”: eccola a chiamar le anatre…
Lei è capace di trasformar il semplice
starnazzo in un richiamo allo spirito della
verità.
Lo Struzzo
Sculettando e procedendo mostrando il meglio di sé,
mi par di veder la gran signora
– che almeno si crede così – che va “a negozi”
per distrarsi dal suo doversi riconoscere
per quel che è: uno struzzo.
“Guarda, guarda come nasconde la testa
sotto la sabbia…perché?” chiede la bimba.
“Il perché non lo so, ma so che è un modo
per far capir a qualcuno tra noi che non si
deve nascondere quel che c’è, ed evitare di
pensare con la testa nascondendola, dando
a noi adesso l’immagine di uno che ragiona
non più a partire dalla coscienza, ma dalla
larga escrescenza che sta dietro…non ti
pare?
Col rischio di far vedere al posto della faccia
il posteriore!”.
La bimba sorrise e stette a osservare se
quello struzzo ritornasse a sollevare il capo.
Mah…chi fa lo struzzo, prima di farlo, lo è.
Non si tratta di un fatto in sé, di un momento,
ma di una mentalità.
Se la tua mentalità è quella del nascondere
la realtà dei fatti, sei di fatto uno struzzo
in mentalità.
Se poi mostri all’altro il posteriore e non il
volto credendoti a lui superiore, quale faccia
appare di te, se il primo si vede e l’altro no?
Chi struzzo lo fa, prima ancora lo è.
La bimba, intanto, sta disegnando in fantasia
qualcosa sulla sabbia con le sue ditine.
Mi viene in mente allora la canzone: “Ho
scritto t’amo sulla sabbia”…o anche quando
quel tipo là aveva scritto sulla sabbia qualcosa
mentre volevano lapidare quella ragazza, e
poi non l’hanno fatto.
Differenza enorme
tra il detto lapidario e il detto da lapidare.
tra il detto lapidario e il detto da lapidare.
Il detto lapidario
riassume in breve la verità e la realtà.
riassume in breve la verità e la realtà.
Il detto da lapidare è quello da eliminare,
prima che si faccia una lapide fissa.
prima che si faccia una lapide fissa.
E qui ho compreso perché non bisogna far lo
struzzo, ma denunciare ciò che non va.
A sculettar siam buoni tutti usando il
posteriore, mostrando il meglio di noi in
basso.
A mostrar a testa alta quel che siamo, forse
ci indica meglio dove noi ora andiamo.
“Dove andiamo adesso?” –mi richiama la
bimba, rialzandosi dal suo scritto sabbioso.
“Vediamo…cosa hai scritto?...Hai disegnato…
Lo struzzo che nasconde il sedere sotto la
sabbia!...”.
Mentre procediamo, mi viene in mente
quella signora/struzza, che la chiamavano
nel paese:
“Il mostro di Locness”.
Sì, perché
apparentemente si dava arie di normalità e
tranquillità, ma quando emergeva il suo vero
volto, appariva con tutta la sua mostruosità…
chissà se c’è ancora, e se sarà riuscita a far
emergere qualcosa di buono da sé…
L'Anaconda
Nel rettilario, tra serpenti vari e pitoni, la bimba si sofferma per un po’ a fissare quell’enorme anaconda che mezza intontita e assonnata solleva appena appena il capo verso l’oblò.
“Se ti prende l’anaconda – le canto – la tua
vita non è gioconda…”
E lei ripete la melodia sorridendo.
E mentre procediamo, la canta e ricanta…
Stringere i panni addosso all’altro,
condizionarlo, stringerlo nella morsa…e
pensare che qualcuno è convinto di farlo
per amore!
E alla fine, si uccide l’altro, o
moralmente, o fisicamente, o lo si induce
indirettamente alla morte.
L’anaconda ti costringe a morire mentre ti
stringe…proprio come chi ti vuole tutto a
sé, impedendoti di essere nella libertà.
Mentre guardavo alla lunghezza
dell’anaconda, pensavo anche alla ben
molto più corta lumaca, e associavo le due,
istintivamente, immaginando che chi fa come
l’anaconda, in realtà, lascia la sua bava come
la lumaca lungo il suo tragitto.
Con la differenza che nel caso degli umani la
cosa è diabolica in entrambi i casi, mentre
per l’anaconda e per la lumaca è la loro
caratteristica naturale.
“La vipera!...” mi richiama la bimba da là più
avanti.
“Sì, pure quella!” e sorrido con un po’ di ironia,
pensando al fatto che quando uno stringe,
sbava e avvelena, estrae dall’animalità tutto
quel che gli serve per far di sé mostra di
superbia…
”Eccomi, arrivo…”.
“Guarda quel serpente là – e la bimba addita
a un rettile che pende da un ramo – è proprio
come quello di Adamo e Eva…o no?”.
“Seeeh…e dove l’hai visto tu quel serpente?”
gli sorrido come a prenderla in giro.
“L’ho visto disegnato sulla Bibbia che stavo
leggendo qualche giorno fa…sì, è uno proprio
così…quello del peccato…come si dice?...”
“…Originale!”…
“Perché originale?”
“Non c’è niente di originale, è normale. Originale perché all’origine dell’umanità,
ma anche perché noi ogni giorno, quando ci
alziamo, all’origine della giornata, siam fatti
per far peccato, istintivamente…”
La bimba mi guarda con volto preoccupato e
un po’ timoroso…
“Sì…-continuo- perché siamo stati
contaminati all’origine. Ma se poi riflettiamo
e usiamo la coscienza, ecco che evitiamo il
male e la giornata procede bene…come oggi,
e speriamo come domani, e dopodomani…”
“…E sempre!” conclude lei apponendo alla
risposta il sigillo del suo ritrovato sorriso.
La Foca
Abbiamo anche fatto una foto davanti al vetro della foca vagante nell’acqua.
La foca scivola via, svincola, si libra nell’acqua,
non puoi afferrarla né prenderla.
E’ l’immagine dell’oceano che libera e fa
liberare chi vi abita.
E forse, la bimba intuisce questa dimensione.
“La rana non ha questa possibilità…?” mi
disse interrogandomi.
“No, la rana ha due ambienti in 50%, la foca
non così”.
“E’ meglio la foca, allora?” mi richiede lei.
“E’ meglio quello che hai scelto per te, che
ti si addice”.
La foca esprime appieno la sua libertà nel
vagar per l’acqua; la rana, no: deve fare i
conti con la sua situazione che ha quando ha
i piedi per terra.
Così è per questa bimba, che vorrebbe
essere libera, ma ha condizionamenti a terra
che non le permettono di essere foca, ma
soltanto rana.
E viver da rana, ha i suoi pregi e i suoi difetti…
Quando c’è un’ottica da affrontare, che
diciamo se non: focalizzare?
La foca, eccola a focalizzare.
La foca focalizza il percorso di vita.
Senza la foca, non vediamo la bellezza del
mare e del suo vagarci in libertà.
Con la foca, focalizziamo i nostri problemi e
mettiamo a punto le scelte da fare.
La foca.
Focalizzare.
Equilibrare la vista con tutti i sensi.
Se sfochiamo la nostra ottica, perdiamo
tutti i punti di vista, e vediamo male.
Il veder male fa parte di chi non focalizza,
ma vede solo l’apparenza.
Vedere senza focalizzare, è non vedere la
realtà.
E’ sfasarla.
Focalizzare è punto cruciale per maturare,
e lo auguriamo anche alla bimba.
“Metti sempre a fuoco, proprio come fossi
una foca!” gli dico.
“Che vuole dire?” mi ribatte.
“Non fermarti all’apparenza, al vedere le
cose come le vedi subito; focalizzale, mettile
a fuoco, in equilibrio tra i tuoi sensi: solo
allora appaiono in verità, e non in illusione.
Foca: focalizza!”.
La bimba mi guarda, volge qua e là il suo
sguardo, come in ricerca, poi ritorna a
contemplare la foca e dice: “Quella foca è
più di una foca: mi sta insegnando qualcosa
in più che non solo il vederla…”.
“Brava, hai già capito il tutto…e il di più di quel che ti volevo dire!”.
“Brava, hai già capito il tutto…e il di più di quel che ti volevo dire!”.
Il Canguro
Salta qua e salta là, ma non dimentica il figlio che ha.
Il marsupio.
Quella cosa che ci richiama il tener con sé
la creatura fragile e debole.
Madri che ignorano e abbandonano le loro
creature, pensando solo a se stesse.
A prendersi il sole al lago, a farsi compagnia
con l’uomo di turno, a non rispondere mai
al telefono quando c’è bisogno perché…
stan facendo i propri comodi: abbronzarsi,
prendendosi il sole…e quant’altro (?)…mentre
la sua creatura muore!
Che drammi!!!
Il canguro porta in sé il figlio generato,
e non lo abbandona, come fa l’umano disumano.
e non lo abbandona, come fa l’umano disumano.
“Che salti fa!...Sono proprio belli!” mi dice la
bimba.
“Esprimono l’energia della vita…e tu, che
vuoi esser rana, impara a saltellare così!”.
“Sì, sì…mi piace proprio questo saltellare…è
come una danza, un ritmo, un seguire una
musica che noi non sentiamo…”.
“Già- le riaffermo – noi non la sentiamo,
ma questa madre la sente nel suo cuore,
la trasmette al suo marsupio e così al suo
figlio…pensa come un giorno balzerà fuori
da lì, pieno di vita e di gioia!”.
Impedire il salto.
Bloccare.
E’ l’educatrice e la genitrice del dovere e
non del cuore.
Che non ha capito niente della vita, e vuole
solo il proprio interesse.
Cioè far bella figura per sé, per quello che
è, e non per quello che dà.
Dare la possibilità del salto fuori dal
marsupio morale è far vivere.
Tenere stretto a sé nella vita è far angosciare
l’altro, fosse anche tua creatura.
Tenerlo poi stretto nella morte, esprime
solo un rimorso di coscienza, che attesta a
te e agli altri quello che non hai fatto per far
vivere la tua creatura…l’hai fatta morire, tu!
Il canguro rilancia al salto del cuore,
dell’animo e della mente ciascuno di noi.
La bimba subito l’ha intuito,
e si è animata anche fisicamente della sua danza.
e si è animata anche fisicamente della sua danza.
Un saltellare gioioso e vivace,
esprimente la vita e mai la morte, un avanzare oltre.
esprimente la vita e mai la morte, un avanzare oltre.
“Che bello fare questi salti!....” mi richiama
saltellando qua e là.
“La rana ricorda che deve imparare dal
marsupio del canguro a portare sempre con
sé la vita, e mai la morte…” le dico in tono
solenne.
Lei mi ha guardato con un velo di tristezza,
come ad annunciare la sua impossibilità a
poter condurre a termine il percorso del
canguro, e a dover accontentarsi si rimanere
solo una rana, una semplice, umile e limitata
rana, soggetta ai suoi e agli altrui limiti.
“Dai, salta, saltella,…non star lì bloccata a
guardare!” la riprendo.
La Volpe
Astuzia, interesse, calcolo e intrallazzo,
questa la caratteristica della volpe umana.
Non certo di questa bimba che ingenua,
buona e sincera, dalla volpe sarà fregata.
Mi auguro di no,
ma la realtà mi dice sarà prima o dopo un sì.
ma la realtà mi dice sarà prima o dopo un sì.
L’eleganza della volpe nella sua apparenza
non corrisponde certo alla sua essenza.
E così, chi vuol far apparire se stesso in
furbizia, pecca sempre per la sua superbia.
Con la favola della volpe e dell’uva, la volpe
trova per sé sempre una scusa: non riesco
a raggiungerla perché è acerba, non perché
non riesco.
Ma dove riesce, matura o acerba, la volpe fa
il suo danno senza remore o timore.
In questo senso, la donna, la donnola e la
volpe sono una triade di intraprendenza.
Per far uso e consumo per sé di quello che
c’è, fosse cosa o persona non interessa.
“Ma che bella coda che ha!”
mi dice ammirata la bimba, osservando la volpe.
mi dice ammirata la bimba, osservando la volpe.
“Non guardare alla coda della volpe, che
ti inganna: guarda al suo muso affilato
e furbesco, che aspetta solo di poterti
ingannare!” rispondo io.
Guardando alla coda, non tieni d’occhio la
testa,
e lei ti inganna.
e lei ti inganna.
Così, nelle persone fatte a volpe, succede
che tu le osservi alla fine, alla coda, ma non
ti accorgi che nel frattempo loro agiscono
contro di te dalla loro testa, da quel pensare
che tu non vedi, perché sei ammaliato dalla
loro coda, cioè dalle loro apparenze.
No,
non lasciarti ingannare.
Guarda sempre alla
radice, a capo delle cose.
Dalla furbizia alla malizia.
La volpe ci suggerisce questo passaggio.
E chi accetta questa logica di furbizia ti
inganna con la malizia,
ma mai da lontano, sempre da vicino.
Proprio perché ti inganna nell’esserti amico, fratello, madre…
ma mai da lontano, sempre da vicino.
Proprio perché ti inganna nell’esserti amico, fratello, madre…
Ma l’anima della volpe alla fine si rivela, in
qualche modo e con qualche sbaglio.
Quando ad esempio tratta te in modo
disgraziato e l’altro in modo esaltato.
Eppure, magari entrambi figli della volpe.
Ma il modo subdolo della volpe si tradisce
nell’amore, che vive male, cioè che non riesce
a vivere in verità; e proprio il viver male il
suo amore, fa vedere che la volpe ha solo
un interesse nel suo amore: il garantir a se
stessa il meglio.
E se tu non sei in grado di garantirglielo, lei
ti tratterà come uno straccio a finire.
“Guarda…la volpe rientra nella tana…” mi
richiama la bimba.
“Sì…- le richiamo sottovoce – sta ritornando
a progettare un altro inganno:
stai attenta
se la incontri sulla tua strada!”.
La Iena
A rider e sghignazzar
e a mangiar carcasse è il suo forte…
Non so se sto descrivendo un animale o una
persona…lascio a voi.
“E’ come un cane…” dice la bimba.
“Sì…potremmo dire che è un cane…degradato”
cerco di spiegarle.
“Cosa vuol dire?”…domanda lei
“Tu, se ami un cane, lo apprezzi e lo curi, e
lui ti vuole bene, vero?”.
“Sì…” mi risponde lei.
“La iena non vuole essere un cane, non
vuol riconoscere la sua natura, e quindi si
immedesima in un sottocane, in un cane non
educato, non amato, non rispettoso e non
rispettato…mi hai capito?” le chiedo.
“Ma è lei che vuole così?” mi richiede.
“No. E’ la sua natura, però ci richiama come
questa natura sua sia scelta a volte dalle
persone per imitarla nello scegliere la morte
e nell’irridere gli altri, magari a partire
proprio da quelli che stanno accanto” e la
guardo.
La bimba è assorta; non so se stia pensando
o se si stia preoccupando per qualcosa o per
qualcuno, o per se stessa.
“Sì, questa è la iena – cerco di rincuorarla –
ma noi possiamo essere superiori a lei e non
imitarla. Anzi, non dovremmo mai prenderla
ad esempio.
Tu, invece, pensa a curare qualche cagnolino che conosci, e fanne un sopracane: un cane che supera se stesso, col tuo aiuto.
Conosci un cagnolino da aiutare e da far crescere così?” chiedo.
Tu, invece, pensa a curare qualche cagnolino che conosci, e fanne un sopracane: un cane che supera se stesso, col tuo aiuto.
Conosci un cagnolino da aiutare e da far crescere così?” chiedo.
“Beh, sì…Non è proprio il mio…Ogni tanto
sta con me… E sto bene con lui…”.
“Bene. Stando con lui, impara a non scendere
mai a livello della iena, ma a crescere
sempre, partendo da lui, per fare di lui un
cagnolino superiore, un “sopracane”, e di te
una ragazza in gamba, una superragazza!”.
Lei sorride, e osserva ancora la iena.
Poi: “Ma la iena resterà sempre così?”.
“Sì, per farci capire quello che non dobbiamo
diventare, e per farci da confronto in quello
che siamo già: se stiamo diventando iene, o se
– con l’aiuto dei cagnolini – stiamo cercando
di essere noi stessi” – e qui mi par di aver
fatto un po’ la morale.
“Certo –interviene lei- anche per la iena la
vita non è tanto bella…”.
“Lo è dal suo punto di vista bella; ma nei
confronti degli altri è proprio un dramma.
Tu, intanto, continua a imitare la tua rana e non quella iena…chiaro?”.
Tu, intanto, continua a imitare la tua rana e non quella iena…chiaro?”.
“Certo…sì…” e volge un ultimo sguardo
di compassione alla iena, che là sotto, si
compiace nello sgretolare le ossa della
carcassa che gli è stata messa per cibo.
Il Lama
“Attento!...-mi richiama la bimba – Ti sta sputando addosso!...”.
Mi scosto veloce e sorrido insieme a lei,
osservando il lama che di nuovo si avvicina
per cercare un po’ di cibo da noi o per
sputacchiarci di nuovo addosso.
Se fosse solo questa la sputacchiera!...
Purtroppo, sputar sentenze e maldicenze fa
parte di tanti di noi oggi.
Che, ritenendosi dei ‘Dalai Lama’ si sentono
in dovere di sputar di qua e di là ogni sorta
di malvagità.
E questo, senza avvertirti, senza darti il tempo di poter difenderti, o reagire.
E questo, senza avvertirti, senza darti il tempo di poter difenderti, o reagire.
Improvvisamente, come un colpo di rivoltella,
ti arriva una palla di saliva addosso.
Sputare.
E’ per il lama non certo intenzionale, fa parte
della sua natura.
Per noi, certo non è sempre naturale.
Sputare addosso come rifiuto di fronte a
qualcosa o a qualcuno è intenzionale.
Si sputa anche se non si vede la saliva.
Anzi, la saliva invisibile ha più effetto di quella che si vede.
Anzi, la saliva invisibile ha più effetto di quella che si vede.
Il lama, prima del nostro ritorno all’uscita
di questo parco, ci richiama che non tutto è
rose e fiori nella vita.
Ci richiama a non attenderci sempre e
ovunque approvazione e lodi.
Ci richiama alle incomprensioni.
Ci addita le sputacchiere umane, create dal
mondo e dalle persone ogni giorno.
“Attento…ancora sputa!” mi avverte la
bimba.
Mi scosto ed evito all’ultimo secondo quella
pallottola sputativa.
Ecco, se qualcuno ci aiuta e ci accompagna,
nelle sputacchiere della vita, possiamo anche
riuscire ad evitare di essere sempre e solo
riceventi il male e lo sputo del mondo.
Basta un avvertimento,
una compagnia o un piccolo segno.
una compagnia o un piccolo segno.
Basta una rana che capisca il lama,
dove va e quando va a colpire.
dove va e quando va a colpire.
Basta forse anche solo entrare nell’ottica
del lama,
e non vederlo solo da fuori, come il nostro avversario sputacchiere.
e non vederlo solo da fuori, come il nostro avversario sputacchiere.
Ma, alla fine, tra sputo e sputo, chi ci colpisce
son soprattutto gli umani, quelli che proprio
dalla saliva un giorno furono fatti; e che
con questa – fisica o morale – oggi si vanno
distruggendo, armandosi di quegli sputi
naturali che in modo artificiale, malizioso e
diabolico vengono usati contro i più deboli.
“Mi ha sputato, ma non mi ha preso!” – mi
dice la bimba, che a mo’ della rana, è balzata
via dall’obiettivo prefissato dal lama.
La Flora
Allo zoo non stanno solo gli animali,
ma anche le piante.
Una zona tutta adibita a esse,
con piante e alberi e fiori di vario tipo.
con piante e alberi e fiori di vario tipo.
“Te, che vuoi far la rana…questo per te è
il tuo regno!” dico alla bimba.
“Mi piacerebbe abbracciare ognuna di queste
piante!” dice lei.
“Abbracciarle!?” chiedo io meravigliato.
“Sì…sentirle vicine a me, più delle persone…”
riprende.
A quel punto, comprendo dal mio e dal suo
silenzio,
che le persone attorno a lei non le hanno dato grande affetto, anzi…
che le persone attorno a lei non le hanno dato grande affetto, anzi…
Forse
quell’abbraccio desiderato per quelle piante
lo avrebbe voluto dare a quelle persone –
magari le più vicine a lei – o ricevere come
segno di affetto.
E, dal come e da quel che ha detto, finora
quell’affetto non c’è mai stato.
L’hanno piantata in asso, diremmo noi.
L’hanno abbandonata a se stessa.
E magari – e qui mi arrabbio veramente –
al suo posto hanno messo piante, e piante,
e verde attorno a loro, invece di piantarla
con quel sistema, e cominciare ad amare un
po’ più questa bimba…
Ma non voglio andare
oltre in questa mia arrabbiatura,
perché rischierei di perdere io e di far perdere a lei questo giorno di serenità.
perché rischierei di perdere io e di far perdere a lei questo giorno di serenità.
Certo, se la si
piantasse con le piante e si cominciasse con
le persone, non sarebbe meglio?
O no?...
La vedo ora assorta nel settore della flora,
ad ammirare le piante e i fiori.
ad ammirare le piante e i fiori.
“Che stai pensando?”…le domando.
“Penso di essere una rana che saltella ora
qua ora là sulle piante, sulle foglie, sui fiori,
e poi saltella nello stagno qui sotto, poi salta
fuori all’improvviso e gioca ancora con tutto
questo verde…” e me lo dice con un sorriso
nostalgico, come sentisse la mancanza del
vero amore tra le persone…
“Ti chiamo allora…Verderame…”
“Verde Rana!”…ribadisce lei rianimando il
sorriso.
Una persona che ritenevo amica un giorno mi
regalò una pianta.
L’ho messo sul terrazzo,
la bagno ancora ogni giorno.
Ma la persona
amica si è rivelata tutt’altro che tale,
e anche la pianta ha subìto uno, anzi due cambiamenti:
e anche la pianta ha subìto uno, anzi due cambiamenti:
1. Le foglie son diventate brutte e secche,
smangiate e sfregiate
2. La pianta si è innalzata superbamente su
tutte le altre che ho sul terrazzo.
Venite a vedere, se non ci credete.
Le piante esprimono il nostro percorso umano…
Le piante esprimono il nostro percorso umano…
All'Uscita
“Ti è piaciuta questa visita?...” le ho chiesto.
“Quando veniamo ancora?...” ribatte lei
sorridendo gioiosa.
“Eh…vediamo…verremo ancora…un giorno…
appena possiamo…”.
“Quali animali non abbiamo visto ancora
bene?”…e mi invita a guardare sulla locandina.
“Vediamo…l’antilope…il ghepardo…il rinoceronte…il panda…il puma…la zebra…la tigre…l’aquila…il cigno, la cicogna, il gufo…il pavone e il pellicano…li vedremo…”.
“Vediamo…l’antilope…il ghepardo…il rinoceronte…il panda…il puma…la zebra…la tigre…l’aquila…il cigno, la cicogna, il gufo…il pavone e il pellicano…li vedremo…”.
“Quanti ancora da rivedere!...” e mi accenna
al ritorno.
“Sì, sì…torniamo, non preoccuparti!” le
confermo.
Mentre attraversiamo il negozio dei
souvenir, si sofferma: “Compro una foto
degli animali?”.
“Li vediamo ancora, quelli. Andiamo la al
bar…io prendo una birra, tu magari un bel
gelato…ok?”.
Sorride approvando.
Sorride approvando.
Rientriamo nel mondo…animale o umano?
Anch’io dovrei assumere l’ottica della rana,
imparando da lei, per poter distinguere quel
che succede là fuori, e come affrontarlo,
sgusciando ora qua ora là, tra i due mondi.
Balzando dal mondo animale a quello umano,
la bimba fattasi rana mi ha suggerito la
capacità che ognuno di noi ha di trasmigrare
da un mondo all’altro, da un modo – cioè
un’ottica - all’altro, con uno spirito distinto,
con una mente che sa distinguere, con un
cuore che sa amare anche ciò che sembra
impossibilitato ad amare o ad essere amato.
Lo zoo ha accolto la rana in piena disponibilità,
ha reso la bimba capace di stare nel mondo
diverso, anche se ora, per questa sua
diversità, il mondo di fuori non appieno la
accetterà.
Essere tra due mondi se dà a noi nuove
possibilità, dà anche agli altri la possibilità
di rubarcele, di negarcele, di trafiggerci
fino in fondo, di buttarci addosso tutti i pesi
che non ci si vuole addossare e che vengono
scaricati sulle spalle deboli e fragili di una
rana o di una bimba che…che cosa volete che
possano fare per salvare questo mondo?
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