“Tirati su con quella gobba!” richiamava la bimba all’animale.
Ma quello ruminava la sua erba e non le dava
ascolto più di tanto.
Lei allora gettò a lui una caramella.
E quello, incuriosito, si sollevò e si incamminò
verso di noi.
Le sue gobbe apparvero allora con eleganza,
come parte del suo portamento.
Bastò quella caramella a risvegliare l’identità
del suo cammino.
Tra la rete e la bimba, il cammello annusò la
sua mano.
Apparve il vero cammello, e le sue gobbe
scomparvero alla nostra attenzione.
Non è importante come era prima, ma come
si era messo adesso.
In atteggiamento docile e disponibile.
“Ma come sei bello!” disse lei al cammello.
E quello, quasi a risposta, fece brulicare le
labbra, ed emanò un verso stile ‘grazie’.
Il cammello non capiva niente di quello che
lei diceva, certo; ma intuiva la sua preziosa
vicinanza, e apprezzava che – nonostante
le sue gobbe – qualcuno gli stava dando
attenzione.
Nel deserto, il cammello certo si sente solo,
finchè non viene richiamato da qualcuno.
E così, anche in quella gabbia dorata, servito
e ben fornito di cibo e bevanda, il cammello
non poteva che dirsi accolto come in una
locanda.
Ma mancava solo la cosa più importante: quel
richiamo che la bimba gli dava ora, con una
strigliata e una avvicinata, per renderlo se
stesso.
Richiamar le gobbe al cammello non è poi
tanto bello,
ma fatto da una bimba in verità l’effetto già
lo fa:
quello di rendere al meglio la natura del
cammello.
Spesso la nostra accettazione della verità
questo effetto non lo dà;
anche a chi si crede di doverlo dire, l’effetto
non vedi venire.
Ogni volta che dirai in verità un difetto per
essere corretto,
troverai chi ti toglie da subito il suo affetto
e ti darà disprezzo.
E così successe a quella bimba,
che dicendo la verità all’animale,
scoprì che in questo caso vale;
ma dicendo a chi di dover la verità,
trovò solo tanta e tanta brutalità.
trovò solo tanta e tanta brutalità.