Cari lettori,
questa favola si ispira
a una storia Vera!!!
LA RANA ALLO ZOO
Sguardo di una bimba sul mondo
Bloccandoci per l’Autostrada,
ci fecero transitare
sulla circonvallazione,
intravedendo
dal fondo questa situazione,
e regalandoci
indirettamente l’ispirazione...
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“Oggi non è che un giorno qualunque
di tutti i giorni che verranno,
di tutti i giorni che verranno,
ma ciò che farai
in tutti i giorni che verranno
in tutti i giorni che verranno
dipende da quello che farai oggi.”
HEMINGWAY
Introduzione
Andare allo zoo con lo sguardo di una bimba significa sorridere, sempre e comunque, al di sopra di ogni regola e al di là di ogni sospetto.
Alla base del sorriso di una bimba allo zoo c’è quell’istinto di base non ancora contaminato dallo zoo fuori dallo zoo: il nostro mondo.
E ti accorgi allora che non sei tu ad
accompagnare lei, ma è lei che ti accompagna,
ti tiene per mano per un po’, ti sfugge via,
affascinata ora qua e ora là, e poi ritorna
a te, a ricreare quel sorriso oggi tanto
incompreso e dimenticato, e del quale
abbiamo un urgente ed estremo bisogno
per essere liberati dalle nostre gabbie
quotidiane, invisibili, ma potenti, e che ci
rendono sempre più prepotenti a noi stessi e
incapaci di sorridere a questa nostra fragile
e fugace vita.
Lo zoo...che a noi rappresenta e ci ripresenta
la bellezza della nostra fragilità, chiusa
negli schemi della logica e nel rifiuto di ciò
che sta oltre i nostri sensi.
E non avrebbe senso andarci, in effetti,
se non con l’ausilio e il supporto del nostro
viaggio: questa piccola bimba, che sorridendo
trasforma l’atmosfera del già noto e del
dato di fatto in un’avventura nel mondo
dell’ignoto, per far risorgere dal nostro
istinto animalesco lo spirito della bellezza,
fatto di umiltà, semplicità, naturalezza, e
soprattutto: sorriso.
Ed eccolà là, già pronta e ardente di
gioia, all’ingresso, a richiamare me e voi a
visitare, finalmente, la meta tanto attesa e
desiderata…
Eccoci, eccoci…Arriviamo!…
Alla Biglietteria
Mentre mi accingo ad acquistare i biglietti,
lei mi richiama strattonandomi per la camicia:
“Guarda che io non posso entrare…”
e io subito la interrompo: “Come non puoi
entrare? Non vedi che prendo i biglietti?...”
e termino l’operazione, incamminandomi
verso la sbarra dell’entrata.
Ma lei si è fermata indietro, e quando
la richiamo, ammutolisce il suo sorriso e
mi guarda con occhi tremolanti.
“Che c’è? Cos’hai?...” e con la mano la invito a procedere.
“Che c’è? Cos’hai?...” e con la mano la invito a procedere.
Ma lei, lì, ferma, quasi bloccata, un po’ tra
l’incantata e l’incatenata, e non si muove.
Torno suoi miei passi, mi chino verso di lei:
“Qual è il problema? Non sei contenta di essere qui? Non ci tenevi tanto a venire?...E adesso, che fai?...”.
E lei, facendo rinascere pian piano il sorriso, sussurra: “Guarda che io non posso entrare così…Devo entrare ed essere una di loro, devo sentirmi una di loro…”.
“Qual è il problema? Non sei contenta di essere qui? Non ci tenevi tanto a venire?...E adesso, che fai?...”.
E lei, facendo rinascere pian piano il sorriso, sussurra: “Guarda che io non posso entrare così…Devo entrare ed essere una di loro, devo sentirmi una di loro…”.
Mi raddrizzo, mi mostro pensieroso e mi
accarezzo il mento, come a pensare a una
soluzione…
Ma poi, mentre penso, mi accorgo
- sempre dal suo crescente sorriso – che lei
ha già soluzione e risposta al suo problema,
e occorre ora solo la mia approvazione.
“Quindi…?” e la invoglio a esprimersi.
“Sarò una rana – riprende lei colmando il suo sorriso – così potrò stare un po’ vicina a te e un po’ vicina a loro, proprio come la rana: un po’ sulla terra, un po’ nell’acqua!”.
“Quindi…?” e la invoglio a esprimersi.
“Sarò una rana – riprende lei colmando il suo sorriso – così potrò stare un po’ vicina a te e un po’ vicina a loro, proprio come la rana: un po’ sulla terra, un po’ nell’acqua!”.
Non sapevo che dirle, a questo punto, se non
approvare in rispettoso silenzio quella sua
scelta tanto fantasiosa e sorprendente, e
allo stesso tempo concreta e risolutiva.
E varcammo la sbarra tra i due mondi: tra
quello di ogni giorno, e quello di oggi, qui e
ora: il mondo dello zoo.
Fra l’altro io il biglietto non l’ho pagato,
in quanto sacerdote.
Non so perché, ma
mi avevano detto che i preti non pagavano
l’ingresso.
Forse per rispetto…o per far sì che si portasse un giorno la comunità, o un gruppo…o per chissà che altro.
Forse per rispetto…o per far sì che si portasse un giorno la comunità, o un gruppo…o per chissà che altro.
Sta di fatto
che già quella differenza mi faceva pensare
che lei, pagante, stava vivendo in un modo
gratuito e libero da ogni condizionamento
quel momento; io, non pagante, non sono
ancora in grado di godermi questo momento
speciale con lo spirito di questa gioiosa e
giocosa bimbetta.
Il tornare bambini –
nell’animo – quanto è difficile!
E mentre sto
pensando a tutte queste cose, lei intanto è
già alle prime gabbie a parlar con gli animali…
Che differenza tra quel suo e questo nostro mondo!
Lasciar esprimere…
Che differenza tra quel suo e questo nostro mondo!
Lasciar esprimere…
Come educatori, ci sentiamo superiori,
responsabili, in dovere di…
E facciamo tutto il possibile per far crescere
ed educare, ma a modo nostro…
A modo vecchio, per un mondo vecchio e al
tramonto.
Educhiamo con spirito di dovere, non con
l’anima dell’amore.
Educhiamo a un tramonto, in una parola: alla
morte.
Lasciar esprimere è educare alla vita, a un
mondo rinnovato.
Ma non abbiamo tempo, forse perché non
abbiamo il senso.
Abbiamo tutte le voglie di questo mondo, e
le trasmettiamo.
Ma nessun desiderio di un mondo oltre, al di
là, da scoprire.
La bimba che si fa rana ci aiuta e ci invita a
far un salto al di là.
Lasciandoci esprimere per la vita,
e non comprimere dalla morte.
e non comprimere dalla morte.
Il Fenicottero
Tutti in gruppo su una gamba…
e anche lei provava questo equilibrio.
Il nome di questo volatile significa
innanzitutto “ali di porpora”.
Il suo caratteristico e carismatico colore
rosa dipende dal fatto che si ciba di una rara
alga rossa e di crostacei, i quali conferiscono
alle piume questi meravigliosi pigmenti di
tinte eteree e sfumate.
Si dice che il fenicottero abbia ispirato il
“mito della fenice” dalle ali fiammeggianti:
l’antico simbolo della trasformazione e
resurrezione, la fenice che alla fine della
sua vita viene consumata dal fuoco e rinasce,
poi, magicamente dalle sue ceneri.
Questo incantevole esemplare di volatile ha
affascinato, nel tempo, tantissimi artisti,
poeti e letterati tra cui Pablo Neruda che
proprio ad esso dedica la poesia “Flamenco”
ovvero “Fenicottero”:
"Era il suo corpo fatto di penne
eran di petalo le sue ali
era una rosa che volava
diretta verso la
dolcezza.
Ho abbandonato quelle regioni
mi son vestito di frac e di ferro
m’hanno morso molti dolori
ma nel fondo di me stesso
come in quel lago sperduto
continua a vivere
la visione d’un uccello o angelo indelebile
la visione d’un uccello o angelo indelebile
che trasformò
la luce del giorno
con lo splendore
della sua presenza ed il suo roseo movimento".
della sua presenza ed il suo roseo movimento".
È con queste parole che Neruda esprime
tutta la sua meraviglia e stupore dinnanzi ad
un uccello tanto regale e sacro, raffinato ed
elegante nel suo dolce colore di tenerezza
ed ingenuità.
Il fenicottero è altresì definito “uccello dei
quattro elementi” (aria, acqua, fuoco, terra);
storicamente viene ricordato non solo per la
sua immensa bellezza e particolarità di forma
e colore, ma anche per il richiamo che esso fa
alla sfera dell’emotività.
Il fenicottero rosa
simbolicamente incarna da un lato: positività,
fascino, eleganza, equilibrio, rinascita, amore,
sensibilità, sogno, indipendenza, evoluzione
e cambiamento, sincerità e altruismo;
dall’altro lato, è sinonimo di dipendenza
affettiva ed eccessiva vulnerabilità.
E’
un volatile che invita alla riflessione, che
trasmette un senso di elevazione e purezza
e, in alcune religioni rappresenta un simbolo
di transizione dalla morte alla vita, dalle
tenebre alla luce.
Il suo rapporto con l’acqua, elemento
naturale attribuito alla psiche e all’ animo, ci
connette agli stati superiori della coscienza
e dell’introspezione.
Il suo colore rosa potrebbe ricollegarsi al
chakra del cuore a cui elargirebbe un’energia
favorevole, di calma ed ottimismo che pone
in uno stato di forte empatia con l’altro.
Ogni fenicottero ha dodici piume nere per
ogni ala, fondamentali per il volo che avviene
prevalentemente di notte.
Il dodici nella numerologia è molto importante perché fa riferimento alla pienezza e totalità originaria, indicando un ciclo completo come i mesi dell’anno.
Palese richiamo vi è poi al totem dell’araba fenice, solitamente invocata per far fronte ai fallimenti della vita umana.
Insomma, un animale dalle mille interpretazioni e sfumature, che si leva nel cielo del tramonto per tingerlo di rosa!
Il dodici nella numerologia è molto importante perché fa riferimento alla pienezza e totalità originaria, indicando un ciclo completo come i mesi dell’anno.
Palese richiamo vi è poi al totem dell’araba fenice, solitamente invocata per far fronte ai fallimenti della vita umana.
Insomma, un animale dalle mille interpretazioni e sfumature, che si leva nel cielo del tramonto per tingerlo di rosa!
Uno
spettacolo della natura che non finisce mai
di incantare ed ammaliare…
Non sempre possiamo camminare su due
gambe; spesso la vita ci riserva incidenti
e acciacchi nel percorso, per cui dobbiamo
stare con un piede per terra e con l’altro
raccolto su di noi.
Ma tutto questo ci insegna
l’arte del saper vivere, e dell’affrontare con
fiducia anche il momento dell’handicap fisico
o morale che ci viene dato in sorte.
Lei ammirava questi fenicotteri come a
specchio, come fossero cioè l’immagine
della propria immagine, intravedendo in loro
il proprio destino di vita, e comprendendo
già, fin d’ora, la propria impossibilità a
procedere sui due piedi, e il doversi allenare
a procedere con un piede per terra e uno
raccolto a sé.
Fenicottero…un elicottero destinato al volo,
ma al quale viene tolta un’ala, e una base.
Ma, comunque sia, il suo destino è il cielo,
non certo lo stare con i piedi per terra.
E lei, con un piede, saltellò alla prossima
visita…
L'Elefante
Con quel peso enorme da una parte, con quel corpo esile dall’altra, i due facevano comunque amicizia in simpatia, attraverso qualche movimento di lui e un po’ di dolci parole di lei.
Un peso alleggerito, un corpo
esile innalzato.
Il gravare delle situazioni
della vita avrebbero potuto già da subito
schiacciare questa bimba, se un destino
misterioso e benevolo non gli avesse messo
sul cammino qualcuno ad accompagnarla in
questo mondo animale, trasformato così in
un luogo di avventura e di bellezza.
Il peso
dell’elefante diventa così una garanzia, e
la piccola si può avvinghiare, anche se solo
idealmente, alla sua schiena, per godere di
un momento di relax e di passeggio sicuro
sulle strade della vita.
Garanzie che non
ha trovato altrove, anzi che l’hanno delusa,
sfruttata e stuprata a tutti i livelli.
Senza
questo ritorno naturale al regno animale,
il regno degli affetti ipocriti e traditori,
specie da chi gli era vicino, l’avrebbe fatta
subito morire e farla finire…ma non era
ancora il momento, per quella bambina che
affidava ora alla proboscide del mastodonte
essere il suo destino con una foglia raccolta
lì, sui due piedi.
Il grosso pachiderma in
quel momento appariva piccolo e gentile,
mentre la piccola diventava davanti a lui
qualcosa di vero, di grande e di bello, alla
quale portar rispetto e amore.
E fu così, in
verità, tra loro.
Nei suoi goffi movimenti,
quell’animale appariva più vero e sincero di
coloro che avrebbero dovuto amar quella
bimba; e quella bimba, pur a malincuore e ad
ultima scelta, a quell’elefante poteva solo a
lui in quel momento affidare la sua fiducia e
la sua amabilità, che altrove gli era finora
stata negata. Poteva quel grosso animale
avere amore verso quella bimba?
No, di
certo.
Ma certa era la simbiosi tra loro,
in quel momento.
Quella che quella bimba
avrebbe dovuto avere dai suoi, ma che –
per la superbia di loro – mai aveva avuta,
per cui, quel giorno, arrivò da me.
E io, per
consolarla, l’accompagnai qui,
a quest’isola felice dello zoo.
a quest’isola felice dello zoo.
Chi si gonfia di superbia, in verità appare
goffo come un elefante nella sua vita.
E calpesta chi incontra, chiunque sia, pur sia
figlio suo.
Il vero elefante si guarda bene dove
cammina e calpesta, e non alza mai la cresta,
ma solo con la proboscide tasta il terreno e
il luogo dove porsi e incontrare, e lasciarsi
incontrare.
Solo così è un vero elefante; altrimenti, fa
solo spettacolo da circo, e nulla più.
Senza relazioni, senza emozioni, senza
amore.
Solo per soldi, venduto, pagato, merce di
scambio.
La Tartaruga
Lei si accostò alla tartaruga che da decenni stava ad aspettare un non so che…
Ma ora, quella carezza della bambina,
sembrava farle spazzar via tutti quegli anni
di vecchiaia e di antichità.
Già.
La forza di una carezza, accompagnata da
un sincero sorriso, aveva in quel momento la
forza di ringiovanire anche quella vetusta
testuggine.
Un sorriso e una carezza spesso alla bimba
rifiutate, che hanno fatto diventare vecchia
megera anche colei che poteva essere vicina
e amica.
Non accogliere è il modo peggiore per
invecchiare.
Quella tartaruga lemme lemme pareva
segnare quel giorno la pazienza e la preziosità
del cammino da gustare: senza fretta né
agitazione, gusta così ogni emozione.
Inoltre, il suo guscio: una bella protezione,
sicura dai pericoli; ma dal quale uscire e
sgusciare al momento opportuno.
“Guarda, guarda!... - diceva la bimba - Guarda
come ci guarda!”.
La tartaruga osserva, con calma e attenzione,
chi gli si pone dinnanzi, quasi come a una
contemplazione; e alla bimba non pareva vero
di essere così considerata da quell’animale,
dopo essere stata sempre trascurata da chi
si aspettava di essere amata.
“Dagli una foglia da mangiare…!” la invitai.
E la bambina pose davanti al viso della
tartaruga quella porzione di verde, e quella
pian piano se la gustò, a gradimento suo e di
noi, che stando lì, gustavamo a nostra volta
quel gesto di condivisione e di attenzione
che richiamava a noi la coscienza di dover
accettare spesso l’umiliazione e la non
considerazione là dove ci aspettavamo
amore e anche solo un po’ di pietà, come per
quella tartaruga desiderosa di un gesto di
compassione.
Pensavo a come noi non siamo tartarughe,
facciam le cose sempre in fretta e furia,
quasi che ci manchi la terra sotto i piedi.
Aver cura e attenzione e un poco di pazienza forse – ce lo insegna la tartaruga – ci farebbe vivere meglio e con uno spirito nuovo le cose che viviamo da sempre in modo abitudinario e vecchio.
Aver cura e attenzione e un poco di pazienza forse – ce lo insegna la tartaruga – ci farebbe vivere meglio e con uno spirito nuovo le cose che viviamo da sempre in modo abitudinario e vecchio.
Noi siamo più vecchi della tartaruga,
nell’animo.
E poi, non usciamo volentieri dal nostro
guscio.
Solo la carezza di una bimba ci può richiamare
a uscire.
Ma noi ne siamo infastiditi.
Non siamo gente di carezze, ma di diritti e
di doveri.
Oltre, non c’è niente, per noi.
Torniamo a chiuderci nel guscio,
lasciando la bimba attonita e delusa.
lasciando la bimba attonita e delusa.
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